Cibo

Metempsicosi e Street Food

Credete nella reincarnazione? Forse non è il mio caso, eppure…

Ogni volta che faccio un viaggio in Sicilia mi chiedo se in una possibile vita precedente fossi stata siciliana! Tutto ciò che trovo e scopro in questa meravigliosa terra mi fa sentire bene. Paesaggi, monumenti, città maestose, paesini nascosti, la gente. Il mare, poi. E perché, il cibo? Quest’anno l’agognata meta è stata la zona del trapanese, tra antiche tonnare, paesi arroccati, come Erice (nome antichissimo, deriva da Erix, personaggio mitologico figlio di Afrodite e di Bute), spiagge selvagge e quasi irraggiungibili a piedi, come la rinomata Riserva dello Zingaro, o quelle incredibilmente sovraffollate, in cui ti guardi intorno e ti domandi come sia possibile che tutta l’Italia sia in vacanza lì… Noi preferivamo fare qualche metro in più, verso est e starcene un po’ più tranquilli!

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                                                                                                                    spiaggia libera a S.Vito lo Capo

Anni or sono, carissime amiche originarie di Catania, mi fecero scoprire la brioscia col gelato o con la granita. Per una patita del cappuccino caldo anche in estate (per colazione), l’idea dell’impatto “freddo” non era facile da accettare. Ma mi sono convinta e che sorpresa!

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                     pronti a giocare

Anche perché la brioscia è fatta con la stessa pasta del maritozzo, che se sta bene con la panna figuriamoci col gelato! Dopo quel memorabile battesimo ho deciso di abbandonarmi, in questa terra, a qualsiasi stravizio culinario. Arancine e sfinciuni sono conosciuti un po’ dappertutto: prodotti di rosticceria, il primo fatto con il risotto allo zafferano e riempito di ragù di carne e pisellini o formaggio e prosciutto; il secondo una specie di pizza condita con pomodoro, spezie e in genere caciocavallo ragusano. Ma a Roma, dove abito, secondo il mio modesto parere ci sono pochissimi punti di ristoro davvero all’altezza. Quest’estate a San Vito lo Capo avevamo l’imbarazzo della scelta.  Poi abbiamo scelto il nostro bar, per vari motivi: i bambini perché aveva il Calcio Balilla, noi adulti perché lì si mangiavano i migliori panini con le panelle, anzi ’U pani chi Panelli. Non sapete cosa sono le panelle? ALT! Aspettate a “gugolare”, ve lo spiego io!

Nella parte nord occidentale dell’isola e particolarmente nella zona palermitana e trapanese è lo street food per eccellenza (eppure le amiche di Catania, ad esempio, non le conoscevano). Piatto di origine araba, in realtà si basa su una ricetta semplicissima e poverissima. La farina di ceci infatti deriva dalla tritatura di questi legumi che gli arabi inventarono per ricavarne una polvere che, mescolata con acqua e poi cotta, desse vita ad un impasto simile a quello della polenta. Ceci al posto di carne: questo il piatto che il popolino poteva permettersi.

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               panino con le panelle, già… azzannato!

Come si presenta: i panini chiamati mafalde o moffolette sono generalmente quelli tondi al sesamo (cimino), quindi hanno già di per sé un aroma particolare; all’interno vengono riempiti con questi quadratini di frittelle fatte, appunto, con la farina di ceci.

Curiosità: in passato i maestri “panellari” girovagavano con carretti attrezzati con un fornello e una casseruola colma d’olio per offrire i loro prodotti in strada, cotti al momento. Pare che la loro fama li portò a sfamare personaggi illustri: dalla Casa Reale, a Luigi Pirandello (che di reincarnazione ne sapeva qualcosa!) e Leonardo Sciascia.

Per chi volesse cimentarsi, non deve essere difficile, si tratta di preparare l’impasto per le frittelle utilizzando farina di ceci, prezzemolo, pepe nero, acqua, sale fino, olio di semi, limone. Impossibile sembrerà solo una cosa: cercare di non esagerare, perché una panella tira l’altra, è un avvertimento! Quelle del nostro bar godevano di una caratteristica: la fragranza, che non le rendeva affatto pesanti (ahinoi) nonostante la frittura; anche il panino, anch’esso appena sfornato, era morbidamente appena oleoso (grazie ai semini di sesamo)… Insomma: il nostro pranzo veloce si è trasformato  nel “momento topico” – nel vero senso del termine – dell’intera vacanza!

Di ricette su internet ne troviamo moltissime: c’è chi consiglia il finocchietto anziché il prezzemolo, o la fettina di limone di Sorrento anziché la diretta spremitura del succo sulle frittelle, oppure la cottura al forno anziché la classica frittura… Il punto in comune rimane soltanto uno, un imperativo irrinunciabile: FARE ATTENZIONE ALLA COTTURA DELLA FARINA DI CECI! Mescolare, mescolare e mescolare ancora, questo il vero segreto. Il pericolo infatti si annida nella infausta possibilità che si formino abominevoli grumi, e che dunque l’impasto non risulti omogeneo… E ora (se volete) “gugolate, gente, gugolate”!

Io non l’ho più questo bisogno, perché muojo ogni attimo, io, e rinasco nuovo e senza ricordi: vivo e intero, non più in me, ma in ogni cosa fuori.”

                                                                  da Uno, nessuno e centomila  – Luigi Pirandello

           Le immagini di questo articolo sono copyright di whilemyguitargently ottobre 2017

 

11 pensieri su “Metempsicosi e Street Food”

  1. AHAH! LO SAPEVO IO CHE L’ORIGINE NON ERA ITALIANA! Qui a Livorno la chiamiamo torta di ceci, nel ligure ha tanti nomi, tutti a scannarsi per la paternità della ricetta… Non ci credevo che era italiana, ma nemmeno uno zizinnino!

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    1. Ciao! Le prime testimonianze archeologiche della coltivazione del cece risalgono all’età del bronzo e sono state rinvenute in Iraq… almeno questo ci dice Wikipedia!
      A questo punto parlaci pure della torta di ceci “alla Livornese”, ci farebbe molto piacere.
      Alla prossima!

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      1. La leggenda labronica (una delle tante almeno) vuole che un carico di farina si fosse annacquato durante il trasporto. Misero la farina in teglie al sole per asciugarla e il risultato fu la torta di ceci.

        La ricetta è sempre la stessa dal nord al sud bene o male… Chiaramente ogni “tortaio” ha il suo stile. Qui usa mangiarla in una focaccia o meglio ancora nel panfrancese, spesso con pepe e chi vuole può aggiungere le melanzane.

        Personalmente preferisco la tradizione ligure, che mette nell’impasto cipolle, o funghi, porri…

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  2. Ciao! Ottime davvero le panelle! Mi ricordo a Palermo è un classico 🙂 il papà con il figlio con il carretto con le pane e panelle! La Sicilia è una terra bellissima. A presto!

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  3. citare dei catanesi in un post in cui l’arancina è femmina, è una bella sfida 😉
    però lo sfincione trapanese è una cosa e quello palermitano è un’altra. nè meglio nè peggio, semplicemente diversi.
    piuttosto mi pare strano non leggere del pane cunzato, che nel trapanese è un’istituzione! (ancor più delle panelle che sono principalmente palermitane) può essere mai che non l’avete tastato?
    San Vito è sicuramente una delle più belle spiagge della sicilia. forse la più bella, una di quelle il cui mare non ti delude (quasi) mai. certo il paesino ormai è molto turistico, ma questo permette di godere di un’offerta più ampia. e di vari servizi che altrove sono molto carenti o addirittura assenti.

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    1. Salve Paolo! E’ sembrato strano anche a me sentir parlare al femminile degli arancini, ma a San Vito la mia esperienza è stata proprio questa! Sul pane cunzato, che dire… Come ho potuto dimenticarlo? E’ stata una vera e propria amnesia, ma ti giuro che mi piace tantissimo: chiedo venia! Purtroppo però io, personalmente, per le panelle ho una passione sfrenata. Me le sogno di notte 😉
      Amo la Sicilia tutta. Non vedo l’ora di tornarci: posso chiedere a te qualche info? Grazie per aver scritto! Alla prossima

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