Serata DVD: questo il mio suggerimento del sabato
Bambini a nanna. Dvd pronto; e gelatino pure.
Ecco, sto per premere play. Che momento meraviglioso di pura suspence!
Già da qualche mese me lo sognavo… “Tre manifesti a Ebbing, Missouri”, vincitore di vari Oscar e Golden Globe, mi attirava in realtà per l’oggettiva bravura della protagonista Frances McDormand (volto inconfondibile del personaggio principale di “Fargo” film cult dei Coen Bros), interprete spesso di profili tutt’altro che teneri, ma anzi tutti d’un pezzo, e fuori dai canoni tradizionali (forse ha creato lei stessa un nuovo cliché: la tipa-rude-stile-McDormand?).
Mi aspettavo un dramma dai toni gravi, emblematico di una certa realtà provinciale, sterminata e desolata come solo certi Stati americani riescono a far trasparire, almeno ai nostri occhi di abitanti dell’al-di-qua del globo. In realtà mi sono AMMAZZATA dalle risate, detto proprio alla “romana”. Non c’è definizione per un film così, una sorta di western contemporaneo, in cui anziché il solito cowboy troviamo una cowgirl (con tanto di camminata alla John Wayne) senza cavallo ma con bandana in testa e indosso una tuta da lavoro, che non ha più nulla da perdere – dopo aver già perduto la figlia in modo brutale – e che mette in piedi la sua lotta personale contro il lassismo delle forze dell’ordine. Chiaramente puntare il dito sulla Polizia non fa che ritorcerle contro l’intera comunità di Ebbing, cittadina inventata ma simbolo di chissà quante altre cittadine realmente esistenti, con i medesimi problemi e la medesima chiusura mentale.
L’elemento piacevolmente spiazzante del film è la costruzione dei dialoghi (il regista e sceneggiatore Martin McDonagh viene dal teatro, e questo è evidente) ilari e vivaci, ma anche crudeli e iper-farciti di parole grevi ed affilate come uno stiletto. Insieme ai dialoghi la sceneggiatura riserva ben più di una sorpresa, cosa che mi trattiene dal raccontarvi la trama, perché quando un personaggio diventa l’opposto di ciò che rappresenta o suscita inizialmente, non vuol dire necessariamente che vi sia incoerenza nella scrittura, bensì la capacità di rappresentarne le varie sfaccettature.
- Disponibile in Home-Video da Maggio 2018
Mc Donagh è un regista attentissimo a questi snodi, sia che si tratti dell’andazzo generale (fabula e intreccio dell’intero arco narrativo) sia delle micro-storie, cioè le piccole evoluzioni o involuzioni dei singoli personaggi.
La cosa che più mi salta all’occhio è la chiarezza con cui alcuni registi britannici, McDonagh in questo caso come anche Sam Mendes (“American Beauty”, “Revolutionary Road”) riescano ad illustrare senza accanimento o, al contrario, compiacimento (come invece molti registi statunitensi) talune caratteristiche tipiche americane, facendoci riflettere comunque su atteggiamenti universali e problemi presenti un po’ dappertutto, non solo in USA.
Cruciali, i temi affrontati: quando la giustizia si confonde con la vendetta, cosa succede? La xenofobia da cosa nasce? Perché tanto odio, esondante anche solo dalle parole, oltre che concretizzato coi fatti?
E allora evviva i film così, quelli da cui ti aspetti lacrime e dolore e che poi ti sorprendono con battute sagaci e interpretazioni magistrali (non voglio dimenticare l’attore Sam Rockwell, odioso eppure divertentissimo il suo poliziotto razzista e mammone; né il grande Woody Harrelson che tutti ricorderanno per “Natural Born Killers” o “Larry Flynt”).
Black Comedy? Western? Drama? Chiamiamolo come ci pare. Premi vinti o meno, la prima sequenza parla da sé: quando lei (il personaggio si chiama Mildred) vede i manifesti – quelli del titolo – dalla macchina; è come se in realtà lì lo spettatore venisse rimorchiato… La seguirà e sarà dalla sua parte, per tutta la durata del film, fino all’interrogativo finale. La conclusione rimane aperta, spalancata, ed è giusto che sia così. Perché nulla è bianco o nero. Perché noi siamo (e subiamo) tutte le sfumature che stanno nel mezzo. Nel mezzo di noi stessi e nel mezzo di tutto il resto, anche quello che più ci spaventa, il tanto temuto altro-da-sé e dunque diverso-da-noi.
P.S. il colore del film è indubbiamente il rosso. Dettagli (sfondo dei manifesti, ringhiere, una delle divise di Mildred) che spiccano sul grigiore provinciale, sull’appannato quotidiano, sul “nonostante-tutto” verde dei campi. Il rosso del fuoco dei manifesti incendiati nella notte, e del secondo incendio, quello appiccato alla stazione di Polizia – sempre di notte. Rosso come il sangue, la violenza, la follia; o come l’amore, principalmente quello di una madre a cui è stata strappata la figlia.
Wow che recensione! Ero titubante su questo film ma mi hai convinta appieno! Adesso ho proprio tanta voglia di vederlo. Grazie!
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Buona visione, allora! Ma un gelatino per addolcire i toni,lo consiglio comunque…
Grazie 😉
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