Esiste ancora il cinema di genere?
Una volta sceglievo i film in base all’idea che me ne facevo tramite locandina, trailers, regista, attori. Fuggivo (ma quello lo faccio tutt’ora) dalla mediocrità “made in Italy” e scappavo a gambe levate dall’Hollywoodiano più smaccato.
Oggi ringrazio il cielo quando 2/3 volte l’anno riesco a ritagliarmi il tempo per una “fuitina” al cinema, meglio in due, per carità, ma anche da sola! E così, visto che nel 2018 oltre a Ferdinand il Toro *(nulla da eccepire ma tale scelta era stata effettuata da qualche ultra-minorenne di mia conoscenza) ancora non si era verificata nessuna condizione favorevole, solo ieri pomeriggio ho potuto prendere il toro (non Ferdinand) per le corna liberandomi della prole per rinchiudermi felicemente in una sala cinematografica, con la mia dolce metà.
L’unico momento di impasse è stato quello della decisione. Che film vediamo?
Ho pensato: qui tocca andare sul sicuro. Con La forma dell’acqua. Pluri-premiato, pluri-piaciuto, pluri-raccontato, pluri-tutto: il regista Guillermo del Toro (e siamo a tre tori, per ora!) non è proprio americano bensì messicano; la protagonista è britannica, si chiama Sally Hawkins, bravissima; la storia, ehm, ecco… ha una matrice fantasy. Questo, per me l’unico neo. Una volta non avrei MAI scelto un film fantastico o fantascientifico. Oggi però è tutto diverso. La libertà in pillole (cioè di fare una cosa che non si fa – quasi – mai) ci costringe talvolta a far finta di scegliere, e a far in modo che gli eventi scelgano per te.
In primavera al cinema o si vedono i film che durante l’inverno sono stati proiettati a lungo, appunto i pluripremiati, o quelli che escono nelle sale proprio nel periodo più sfigato… Cioè quando la gente col bel tempo preferisce pic-nic e scampagnate.
Mi sono detta: ma sì, allarghiamo i nostri orizzonti – e mi sono seduta all’ultima fila del lato sinistro nella sala n. 6 del cinema Madison… Ero così felice, che mi mancavano solo i pop corn (e le treccine) per sembrare una bambinetta estasiata davanti al grande schermo.
Due ore di immagini che riempiono vista e udito di non altro che una semplice fiaba, che trascina quasi fisicamente nell’elemento ACQUA, in cui sembra di immergersi davvero, a metà strada tra sogno e incubo, in mezzo tra purissimo amore e vivissimo orrore – con qualche impennata pulp, in contesti riconoscibili di un passato non poi così lontano (Guerra Fredda, in USA) e personaggi iper-caratterizzati e dunque tipicamente simpatici o antipatici.
I protagonisti altri, e non meno importanti, sembrano essere i colori. Quelli freddi dei vari toni di azzurro che virano al verde acquitrinoso, al celestino ghiacciato del neon del centro governativo o al verdastro dei bagni. La scura notte, quasi perenne, illuminata artificialmente. Il rosso e oro della sala cinematografica in contrasto con il B/N delle immagini fuori-uscenti da tv e schermi. Il verde squillante di caramelle e gelatine, che ha un non so che di finto e rimanda ad un futuro quasi raggiunto (l’uomo a breve raggiungerà la luna!). Poi i suoni, attutiti come avvertiti in apnea, o tintinnanti e scroscianti come la pioggia dell’ultima parte, o quelli della colonna sonora, articolata e travolgente: fondamentale per la narrazione e poetica al tempo stesso.
Si pensa un po’ ad Amelie ma pure un po’ a Pulp Fiction, a La Bella e la bestia, persino alla Sirenetta; si apprezza anche l’uomo anfibio (che almeno all’inizio lascia un po’ a desiderare ma MEA CULPA: io non amo mostri e roba di fantasia), si rimanda alla levità del musical e alla tensione del thriller, si ripropone il solito cliché delle spia russa ribaltato questa volta con maestria svelando l’umanità di una di loro. L’eroe è L’EROINA muta ed emarginata, come i suoi amici – una donna di colore e un artista gay. L’antagonista è IL CATTIVO alla enne potenza, spietato e ignobile. L’amore è assolutamente impossibile, peggio di Giulietta e Romeo, peggio di Love Story.
Insomma; una bellissima sorpresa. Ecco perché non voglio raccontare neanche brevemente di cosa si tratta, una sinossi lo sminuirebbe, così come accadrebbe con una qualsiasi fiaba. Un film per chi ama i film, è vero: ci sono riferimenti cinematografici ad ogni sequenza (mi ha fatto piacere persino scorgere Sherley Temple, che io ho sempre detestato!). Ma anche per chi ama andare al cinema e non pretender null’altro che godersi lo spettacolo, nonostante nella fila davanti sia seduto l’uomo più alto del mondo che con la testa copre gran parte della visuale 😉
* Volete sapere com’è Ferdinand il toro? Prossimamente su Unrequired Thoughts…
Le immagini n. 1 e n. 2 sono copyright di facebook.com/theshapeofwater; le immagini n. 3 e n. 4 sono state scaricate da Pixabay
Quando si dice la forza del cinema! E’ bello decidere di vedere un film sul grande schermo con tutto il fascino del buio, delle poltrone non sempre pulite e dei capoccioni! Grazie per questa recensione,penso proprio che andrò a vederlo 😉
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Divertente e interessante, è sempre un piacere leggere questi “pensieri” 😉
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Bellissimo e divertente commento di un film…tanto che a me, che odio il grande schermo, e venuto il desiderio di andarlo a vedere.
Complimenti alla scrittrice..
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