L’estate fioriscono i concerti. In stadi, piazze, parchi e zone archeologiche.
La musica risuona ovunque.
Il caldo e la pigrizia ci dicono di non andare. Ma un concerto. Qualsiasi sia l’artista o il tipo di musica a cui si va è un’esperienza indimenticabile che difficilmente delude.
Negli anni 90 andare ai concerti era un affare di stato.
Non c’erano cellulari con i quali organizzarsi, quindi si usavano i pochi minuti della ricreazione o il telefono di casa quando dopo le 19 costava di meno chiamare.
I concerti erano pubblicizzati sulle riviste specializzate, presso i negozi di CD e di strumenti musicali. Ma a Roma se volevi una panoramica completa dei mesi a venire dovevi fare il viaggio della speranza, due ore in bus fino a Orbis, in un luogo a metà strada tra l’irraggiungibile Disfunzioni musicali (troppo lontano: ci si andava solo per le occasioni speciali, a farsi firmare un autografo da Bruce Dickinson per esempio) e il vicino Rentùn dove si affittavano i CD per tre giorni e i proprietari mettevano a disposizione lo scibile tutto della musica. Da Brian Eno ai Napalm Death. Tutto. Ancora oggi quando passo davanti alla sciatta tabaccheria che ha sostituito le pareti tappezzate di libretti di CD mi piange il cuore.
Orbis invece resiste. La microscopica ricevitoria è tappezzata ancora di locandine e fogli stampati con elenchi di tutti gli eventi musicali, sportivi, teatrali che si svolgeranno in Italia nei prossimi mesi.
Un concerto era raro ma l’organizzazione ci impegnava per lunghi mesi. Che emozioni!
Il momento in cui avevamo in mano i biglietti era già un evento di per sè. Si iniziava il conto alla rovescia. Ci si vantava del possesso e si contattavano gli altri amici per sapere chi avremmo trovato al concerto, chi fortunato tra pochi avrebbe potuto godere con noi del mirabolante evento. E poi ti capitava di incontrare nei bagni del teatro tenda di Firenze le uniche amiche di Roma a cui non avevi chiesto se andavano. Loro che le avevi conosciute in fila per gli H-Blox a Roma e poi le avevi ritrovate in fila fuori da un concerto dei Bush a Londra la stessa estate ed erano diventate tue amiche. O ti capitava di conoscere altri fan arrivati da tutta Italia nell’attesa interminabile dell’apertura del locale che sarebbero diventati la tua base in giro per l’Italia a caccia di concerti.
Sono passati anni. La tecnologia ci fa avere tutto subito, i biglietti si comprano da casa, il treno ci mette solo un’ora per Firenze e a Roma ormai arrivano quasi tutti i più grandi artisti che nel ’90 andavano solo dalle truppe americane ad Aviano e a Milano. E per questo penso sempre che devo ringraziare anche una delle amiche appena citate che organizza concerti incredibili a Roma.
Passano gli anni ma andare ad un concerto è e rimane un’esperienza unica quasi mistica. La condivisione dell’esperienza con altre centinaia o migliaia di persone che in quel momento sono i tuoi migliori amici e confidenti. Ti capiscono come tu capisci loro e capisci perché siete tutti lì accaldati a condividere i movimenti all’unisono, il sudore, la vibrazione delle ossa al ritmo del basso e della batteria sono sensazioni impagabili che solo un concerto dal vivo può dare.
La TV con il miglior surround che ci sia in commercio non rende neanche un centesimo della magia dei concerti.
Il concerto ti porta a diretto contatto con l’artista, ti aiuta a capirlo come mai riuscirai da una registrazione, a sperimentare con i tuoi occhi e tutto il tuo fisico la musica che ti piace tanto e che ascolti spesso ormai solo in cuffia.
La magia del palco ha delle evoluzioni che ancora non mi so spiegare, ma alcuni cantanti visti per strada sembrano persone insignificanti e invece una volta sul palcoscenico sono delle divinità. Ho visto un giorno un insignificante ragazzetto che scendeva calmo dal taxi e sul palco si è trasformato nell’ipnotico Ian Brown che ti cattura e ti fa innamorare. Poi ho visto un inglese di mezza età con panza da birra, che una volta sul palco torna giovane bello carismatico con l’inconfondibile voce, sensuale e carica di emozione di Morrissey. Ho anche visto un gruppetto di ragazzi che suonavano a Londra di spalla ai Nine Inch Nails e che sul palco non dicevano proprio niente, sentiti invece in CD erano gli emozionanti Ladytron. O la grande delusione del cantante nascosto dietro un telo con la voce che ti graffia dentro ma il viso inarrivabile neanche in un live.
Quindi quando i tuoi amici non possono venire al compleanno di tuoi figlio perché vanno a Firenze a vedere i S.O.A.D li giustifichi pienamente e li ami ancora di più perché neanche loro hanno dimenticato quanto è bello il rituale del concerto.
Un concerto vale sempre la pena. Sempre.
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I concerti sono una magia! Una magia che va oltre la canzone, il gruppo o il cantante sul palco .. è l’atmosfera, è tutto l’insieme, difficile trovare anche le parole giuste per “descriverla” ..! I miei primi concerti sono stati negli anni ’80 .. e la descrizione che hai fatto è verissima .. erano un’avventura emozionante che iniziava mesi prima 🙂
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Non conosco una sola canzone di tutti quelli che hai nominato. Sembra che siamo vissute su due pianeti diversi. Rimane indiscutibilmente in comune l’emozione per un concerto.
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Confermi quindi la mia teoria che indipendentemente dall’artista o dal genere musicale l’esperienza di andare ad un concerto è impagabile! 🙂
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