Il pane fatto in casa. Questo grande mistero.
A volte viene un bellissimo impasto ma non cuoce bene. Altre volte un impasto mediocre ma lievita bene. E altre boh una cosa informe che in cottura perde qualsiasi dignità. Insomma un disastro.
E ora sorge il dubbio. Ma perché con tutte le panetterie forni e fornai, attenti ai grani alle farine e alla lievitazione ci adoperiamo per preparaci una cosa così complicata in casa? Forni non professionali, farine non professionali competenze non professionali..e allora perché? Cosa spinge così tante persone nei paesi ricchi a cercare di ritornare a prodursi cibo da soli? Orti urbani, panificazione e lievito madre casalingo, master chef in ogni angolo…
Vogliamo tuitti sentirci un po’ artisti?
Forse per la gioia di farsi le cose da soli, oppure per una intrinseca sfida con gli elementi (acqua,farina, lievito) per addomesticarli, farli nostri e gestirne le evoluzioni in fragrante pane. Potrebbe anche essere un’egoistica sfida con il vicino, l’amico o il parente panificatore.
È comunque è soprattutto una voglia o un bisogno di fare che spesso trascinde il ‘fare meglio’ in quanto un prodotto casalingo spesso non arriva neanche alla decente somiglianza con il suo parente professionale.
Allora perché ostinarsi?
Per condividere una foto sui social?
O per riprendere in mano un pezzetto della nostra vita, sentirci ancora capaci di fare, produrre e creare con le nostre mani senza dover per forza essere artisti, unico campo professionale dove si è ancora autorizzati a sporcarsi le mani con pittura o argilla.
Cercare di liberarci dal giogo virtuale dei PC. Dallo stare sempre seduti ad una scrivania senza riuscire a liberare le mani dalle tastiere.
Aprire le dita alla manipolazione. Una manipolazione con anche uno scopo. Il prodotto finale. Il cibo. Mio padre diceva sempre ‘si cucina con amore per dare amore’. Impastare quindi è un po’ cercare di arrivare al cuore passando per la fatica e l’incertezza della produzione?